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Scritti filologici e volgarizzamenti

Tra i molti suoi scritti Leopardi ha lasciato anche importanti studi di carattere filologico. Scritti “tecnici”, di “critica testuale”, riguardanti in particolare testi greci ellenistici e tardi (un campo all’epoca dominato da pochi), giudicati “di livello europeo” dallo studioso che li ha imposti all’attenzione dei critici: Sebastiano Timpanaro (suoi il pionieristico volume La filologia di Giacomo Leopardi, Le Monnier, Firenze 1955, e la cura, con Giuseppe Pacella, degli Scritti filologici (1817-1832) di Leopardi, ivi 1969; altri testi giovanili sono stati curati poi da Claudio Moreschini, e da altri studiosi).

L’attività tecnico-filologica di Leopardi si può dividere in tre fasi. La prima è quella degli scritti giovanili, frutto dei “sette anni di studio matto e disperatissimo”: Leopardi si occupa dei Padri della Chiesa e di storia ecclesiastica, e tra il 1817 e il ’19 scrive due importanti Lettere a Pietro Giordani, una sopra il Dionigi del Mai e una sopra il Frontone del Mai. La seconda fase coincide col viaggio a Roma del 1822-23: Leopardi pubblicò nel periodico “Effemeridi letterarie di Roma” tre scritti, veri e propri saggi scientifici, fra cui le Notae in Ciceronis de Re Publica e il suo lavoro di maggiore impegno, le Annotazioni sopra la Cronica d’Eusebio (poi pubblicato anche in volume autonomo, datato 1823). Il lavoro della terza fase (1823-27) è affidato a un’ampia serie di note critico-testuali sparse, che Leopardi progettò, senza successo, di pubblicare dietro incoraggiamento di Louis de Sinner, al quale consegnò una scelta di materiali (ora nella Nazionale di Firenze).

Oltre agli studi filologici, Leopardi produsse anche diversi volgarizzamenti in prosa. Fra i più importanti, le Operette morali d’Isocrate (1824-26) e il Manuale di Epitteto (1825), non pubblicati. Inoltre, una contraffazione della lingua trecentesca, che trasse molti lettori in inganno: il Martirio de’ Santi Padri del Monte Sinai e dell’Eremo di Raitu (Stella, Milano 1826).

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