Inno ai Patriarchi, o de’ principii del genere umano
Canzone (come scrisse lo stesso Leopardi nelle Annotazioni pubblicate in calce all’edizione di Bologna 1824: “Chiamo quest’Inno, Canzone, per esser poema lirico, benché non abbia stanze né rime”) in centodiciassette endecasillabi sciolti composta a Recanati nel luglio 1822, pubblicata nella medesima edizione di Bologna 1824 al nono posto, in ordine cronologico di composizione, ma poi anticipata all’ottavo nelle edizioni di Firenze 1831 e Napoli 1835, subito dopo Alla Primavera (alla quale si connette tematicamente: lì il rimpianto del mito greco, qui dell’età biblica) e prima dell’Ultimo canto di Saffo.
Unico realizzato dei progettati (nel 1819) Inni cristiani, di tormentata elaborazione e di “peregrino” stile, l’Inno ai Patriarchi acquista particolare forza nella contrapposizione tra la moderna corruzione e l’innocenza primigenia, caratteristica di chi un tempo poteva godere dell’“ameno error”, cioè i patriarchi dell’età biblica, oppure dei soli che di quell’errore possono ancora godere: i selvaggi delle “californie selve”:
Fu certo, fu ...
... amica un tempo
al sangue nostro e dilettosa e cara
questa misera piaggia, ed aurea corse
nostra caduca età. Non che di latte
onda rigasse intemerata (= “incontaminata”) il fianco
delle balze materne (= “che producevano il latte”), o con le greggi
mista la tigre ai consueti ovili
né guidasse per gioco i lupi al fonte
il pastorel; ma di suo fato ignara
e degli affanni suoi, vota d’affanno
visse l’umana stirpe; alle secrete
leggi del cielo e di natura indutto (= “sovrapposto”)
valse l’ameno error, ...
Tal fra le vaste californie selve
nasce beata prole, a cui non sugge
pallida cura il petto, a cui le membra
fera tabe non doma; ...
... inopinato il giorno
dell’atra (= “nera”) morte incombe. ... (vv. 87-110)

