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percorso biografico   Home Page > Percorso biografico > 1810-1821 > La conversione letteraria


La conversione letteraria

fotografia Il tempo intercorso fra il ritorno da Parigi e la primavera del 1812 fu caratterizzato da una sorta di paralisi dell’ispirazione poetica. Manzoni sembrava non occuparsi più di letteratura, ma dedicava il suo impegno ai lavori di sistemazione della villa di Brusuglio e continuava i suoi studi filosofico-religiosi e storici leggendo, oltre al Bossuet e agli altri oratori sacri e moralisti del Seicento, anche autori italiani come Machiavelli e Giannone (le cui opere, inserite  nell’Indice dei libri proibiti dalla Chiesa, Manzoni poté consultare dopo aver chiesto il permesso al papa Pio VII). Ma il distacco dalla letteratura era solo apparente. La conversione religiosa aveva generato nell’animo del Manzoni il bisogno di trasferire la nuova condizione spirituale nell’ambito della creazione letteraria, con un’opera radicalmente differente dalle precedenti, che fosse scritta (come prometteva in una lettera al Degola) “per la gloria di Dio”. Questo bisogno di innovare la propria poesia era già evidente nel giudizio negativo espresso al Fauriel sui versi  dell’Urania (la più neoclassica delle sue poesie giovanili), dei quali si diceva “scontentissimo, soprattutto per la loro totale mancanza d’interesse”. Ad interessarlo, ma per poco, in quei messi successivi al ritorno a Milano, fu il genere poetico dell’idillio, praticato già nel secondo Settecento da poeti italiani, come il Bertòla, e da poeti di lingua tedesca, come lo svizzero Gessner. Di questo tipo di componimenti Manzoni aveva discusso a Parigi col Fauriel e ne discuteva a Milano col Monti ed altri letterati, ma rifiutò poi di tradurre in versi italiani l’idillio Parteneide del poeta danese Jens Baggesen, già tradotto in francese dal Fauriel. Si mise invece a lavorare a un poemetto in ottave sul vaccino, e dunque a una poesia, nuova anche nel metro, di chiaro impegno sociale (e indirettamente religioso) alla quale aveva pensato a Parigi, ma ne scrisse solo una sessantina di versi. Nemmeno La Vaccina, infatti, era quella poesia “tirata dal fondo del cuore” di cui dichiarava l’urgenza in una lettera al Fauriel del 20 aprile 1812. La vera conversione letteraria si compì quasi d’improvviso, coi primi versi della Risurrezione.

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