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percorso biografico   Home Page > Percorso biografico > La stagione ferrarese > La rappresentazione delAminta

La rappresentazione delAminta

fotografia La versione tradizionale, ribadita con abbondanza di dettagli da Solerti, assegna la prima rappresentazione delAminta alla fine del luglio 1573, sull’isoletta di Belvedere, in una messa in scena organizzata dal Tasso stesso, mentre un’ipotesi alternativa, riformulata di recente da E. Graziosi (Aminta 1573-1580. Amore e matrimonio in casa d’Este, Pisa, Pacini, 2001), recuperando considerazioni di Serassi, la retrocede di qualche mese, assegnandola al marzo. Di là da queste precisazioni rimane che lo spettacolo rappresentò lo specchiarsi della corte estense nel capolavoro tassiano; visibili ancora oggi le corrispondenze (Tirsi / Tasso, Elpino / Pigna, Batto / Guarini, Licori / Lucrezia Bendidio) fornivano un’immagine stilizzata in chiave pastorale della corte di Ferrara, dominata dalla presenza di Alfonso II, cui così alludeva una battuta dello stesso Tirsi: «O Dafne, a me quest’ozii ha fatto Dio» (a. II, sc. II). Di nobile ascendenza virgiliana, il brano era omaggio al principe che lo aveva da poco accolto al seguito, e che garantiva e promuoveva la costruzione del Goffredo. L’episodio è da intendersi simbolicamente come culmine felice della stagione ferrarese del Tasso e non solo: poco appresso i dissapori legati alla revisione e alla stampa del poema e una progressiva diffidenza avrebbero incrinato la fiduciosa prospettiva tassiana. L’amaro episodio di Mopso, le sue acri espressioni contro la corte avrebbero gettato una luce diversa sull’insieme; per altro verso, un quarto di secolo più tardi, la corte estense sarebbe transitata sotto i domini pontifici nel 1597, in seguito alla morte senza eredi del duca.




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