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Percorso testuale   Home Page > Percorso testuale > Il Tirsi > I contenuti dell’egloga

I contenuti dell’egloga

fotografia Il Tirsi è un’egloga rappresentativa, cioè un componimento poetico di genere pastorale destinato alla recita, o rappresentazione, davanti ai più illustri componenti della corte dei Montefeltro. Si tratta di un tipo di spettacoli consueti a Urbino e nelle altre corti del tempo, almeno a partire dalla fine del XV secolo. L’opera è dedicata alla duchessa Elisabetta Gonzaga, per mezzo di una lettera proemiale che introduce il testo, firmata dal solo Cesare Gonzaga. I personaggi protagonisti sono tre pastori, Iola, Tirsi e Dameta, i quali, dialogando fra loro su uno sfondo agreste e idillico, evocano in maniera esplicita, al di sotto del travestimento bucolico, luoghi e persone reali: a partire dal palazzo ducale di Urbino e dai suoi principi, Guidubaldo e Elisabetta. Il testo si risolve così in una smaccata e diretta esaltazione, anche se sempre elegante, della corte e dei suoi duchi. La principessa, in particolare, viene ripetutamente celebrata, tanto che l’omaggio e l’elogio della donna costituiscono la ragione fondamentale che giustifica la genesi del componimento.

La trama dell’egloga è questa: dopo il lamento del pastore Iola, respinto dalla ninfa Galatea, prende la parola Tirsi, che gli rivela di avere abbandonato la propria terra d’origine per il desiderio di vedere e conoscere una dea, una donna di cui tutti vantano la virtù e la bellezza. Subentra allora il pastore Dameta che, con una serie di trasparenti allusioni, tesse l’elogio della dea (Elisabetta Gonzaga), delle sue ninfe (le dame della corte) e dei pastori che la onorano (Pietro Bembo, Giuliano de’ Medici, Ludovico di Canossa e altri). Infine viene omaggiato il “bon pastore”, ossia il duca Guidubaldo di Montefeltro. Tirsi, ammaliato e impaziente, è trattenuto da Dameta che lo invita ad ascoltare il coro dei pastori che stanno arrivando, e ad assistere a una danza, con la promessa che potrà presto vedere la dea e le sue ninfe.

Il trapianto del dato storico nel terreno della poesia è funzionale a una trasfigurazione encomiastica o mitizzazione della corte di Urbino, che, avviata con quest’opera, nella carriera letteraria di Castglione culmina con il Cortegiano.

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