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Un testo per il carnevale

fotografia Al principio del 1508, tra Urbino e Fossombrone, Baldassarre Castiglione e il cugino Cesare Gonzaga scrivono insieme, a quattro mani, l’egloga Tirsi, una favola pastorale in cinquantacinque stanze, che viene dai due autori recitata alla corte di Elisabetta Gonzaga e Guidubaldo di Montefeltro, per le feste di carnevale, nel marzo di quell’anno, ottenendo un grande successo.

Si tratta di un componimento d’occasione, raffinato e artificioso, che risponde a una moda galante dell’epoca, di stampo umanistico. Tuttavia l’abilità e l’estro dei due scrittori conseguono uno dei prodotti poetici qualitativamente più alti della letteratura cortigiana del primo decennio del secolo, anche in ragione della quantità e qualità delle fonti classiche abilmente intrecciate (Teocrito, Virgilio, Ovidio, Orazio, Properzio, Calpurnio, Nemesiano) .

Probabilmente i due cugini progettano e stendono l’opera tra gennaio e febbraio, allorché Cesare Gonzaga si trova obbligato a letto, per rimettersi dalla frattura di una gamba conseguente alla caduta del suo cavallo durante una gita sulla neve. Castiglione ne riferisce alla madre Aloisia Gonzaga in una lettera del 15 gennaio: “Per queste neve andando a spasso a cavallo, scherzando, la disgratia volse che ’l cavallo de M. Cesari cascò: in fine li ruppe un poco una gamba. [...] Hora è passato el dolore e quasi tutto il male, excetto che del fastidio de stare in letto” (B. Castiglione, Le lettere, a c. di G. La Rocca, I, Milano 1978, 142).

L’ozio forzato, nel cuore dell’inverno, per i due gentiluomini costituisce il momento propizio per dare forma a un componimento poetico in omaggio della corte presso cui sono ospitati. Ultimata la scrittura, il Tirsi viene quindi rappresentato al cospetto del duca, della duchessa e di tutti i dignitari della famiglia feltresca, durante i giorni delle feste di carnevale, che nel 1508 terminano il 7 marzo. La messa in scena, per la prima volta, avviene nel palazzo di Fossombrone, dove il principe, Guidubaldo di Montefeltro, ha chiesto di essere trasferito, insieme alla moglie, per la speranza che il clima, più mite che a Urbino, allevi le recrudescenze della malattia che di lì a poco, invece, lo avrebbe condotto a morte.

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