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Il sabato del villaggio

fotografia Canzone “libera” composta a Recanati alla fine del settembre 1829 e pubblicata la prima volta nell’edizione di Firenze 1831, costituisce un “dittico” con la precedente La quiete dopo la tempesta.

Anche nel Sabato, come nella Quiete, è centrale il tema del piacere: impossibile nel presente, e sempre e solo immaginato nel futuro. La riflessione leopardiana al proposito è assai articolata, espressa in molte opere, e in particolare nelle Operette morali e nello Zibaldone (si legga ad esempio un passo del 20 gennaio 1821: “Il piacere umano ... si può dire ch’è sempre futuro, non è se non futuro, consiste solamente nel futuro. L’atto proprio del piacere non si dà. Io spero un piacere; e questa speranza in moltissimi casi si chiama piacere”, 532).

Il Canto esprime però in forma (anche stilisticamente) più “leggera” questa amara riflessione leopardiana: sia grazie alle situazioni e ai personaggi “idillici”, derivati dall’esperienza della vita recanatese, con cui la poesia si inizia (la “donzelletta” col suo “mazzolin di rose e di viole”, la “vecchierella” che “novellando vien del suo buon tempo”, i “fanciulli” che gridano “su la piazzuola in frotta”, “il zappatore”, e il “legnaiuol, che veglia / nella chiusa bottega alla lucerna, / e s’affretta, e s’adopra / di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba”, vv. 1-37): personaggi che rappresentano diversi modi di godere dell’attesa del giorno di festa, e che l’indomani invece si dorranno pensando al successivo giorno feriale; sia grazie all’apostrofe finale al “Garzoncello scherzoso”, in cui Leopardi istituisce un parallelo tra il sabato, che precede la festa, e la giovinezza, che precede la vita – ma vuole risparmiare al “garzoncello” la consapevolezza del dolore che l’attende:

Garzoncello scherzoso,

cotesta età fiorita

è come un giorno d’allegrezza pieno,

giorno chiaro, sereno,

che precorre alla festa di tua vita.

Godi, fanciullo mio; stato soave,

stagion lieta è cotesta.

Altro dirti non vo’; ma la tua festa,

ch’anco tardi a venir non ti sia grave. (vv. 43-51)

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