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Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze

fotografia Canzone “gemella” di All’Italia (con cui condivide i “precedenti”), fu composta a Recanati tra il settembre e l’ottobre 1818, e pubblicata fino all’edizione dei Canti del 1831 col titolo che si prepara: venne infatti occasionata da un manifesto del luglio 1818 in cui veniva proposta l’erezione di un monumento a Dante, poi scoperto nel 1830 (e l’onore reso a un grande del passato è occasione per leopardi di deplorare lo squallido presente: “O Italia, a cor ti stia / far ai passati onor; che d’altrettali / oggi vedove son le tue contrade, / né v’è chi d’onorar ti si convegna”, vv. 7-10).

Nella Canzone, di laboriosissimo stile, Leopardi lamenta, come nella Canzone precedente, la sorte dell’Italia sotto il dominio straniero:

Perché venimmo a sì perversi tempi?

perché il nascer ne desti o perché prima

non ne desti il morire,

acerbo fato?

...

Qui l’ira al cuor, qui la pietade abbonda:

pugnò, cadde gran parte anche di noi:

ma per la moribonda

Italia no; per li tiranni suoi. (vv. 120-3, 133-6)

E come nella Canzone precedente, Leopardi deplora la sorte dei giovani italiani caduti nella gelida steppa russa durante la campagna napoleonica:

Morian per le rutene (= “russe”)

squallide piagge, ahi d’altra morte degni,

gl’itali prodi; e lor fea l’aere e il cielo

e gli uomini e le belve immensa guerra.

Cadeano a squadre a squadre

semivestiti, maceri e cruenti,

ed era letto agli egri (= “ammalati”) corpi il gelo.

Allor, quando traevan l’ultime pene,

membrando questa desiata madre,

diceano: non le nubi e non i venti,

ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene,

o patria nostra. Ecco da te rimoti,

quando più bella a noi l’età sorride,

a tutto il mondo ignoti,

moriam per quella gente che t’uccide. (vv. 139-53)

L’immagine finale condensa l’amara delusione leopardiana per l’Italia contemporanea, tanto diversa dal suo glorioso passato: se continuerà ad essere abitata da uomini “codardi”, “meglio l’è rimaner vedova e sola” (v. 200).

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