A un vincitore nel pallone
Canzone “Finita l’ultimo di novembre 1821” a Recanati, e pubblicata la prima volta nell’edizione di Bologna 1824.
Dedicata all’atleta (poi patriota) Carlo Didimi, coetaneo di Leopardi nato a Treia (cittadina vicina a Recanati), la Canzone sviluppa un abbozzo dallo stesso titolo (il “pallone” non corrisponde all’odierno calcio, ma alla “palla a muro”, che già era stata cantata nel Seicento dal poeta Gabriello Chiabrera), e soprattutto si connette a numerose riflessioni dello Zibaldone relative all’importanza del vigore fisico, del coraggio, della vita attiva e del gioco: valori e costumi che nell’antichità erano considerati propedeutici all’eroismo (i versi 14-26 sono infatti dedicati alla battaglia di Maratona, in cui gli Ateniesi, già vincitori delle Olimpiadi, sconfissero i Persiani) e sono oggi invece rimedio all’infelicità e alla noia.
Assai coinvolgente è la quarta strofa, in cui Leopardi prefigura un futuro desolato in cui la civiltà italiana sarà scomparsa, con toni che sembrano anticipare quelli ancora più scabri di alcuni versi della Ginestra:
Tempo forse verrà ch’alle ruine
delle italiche moli
insultino (= “saltino sopra”) gli armenti, e che l’aratro
sentano i sette colli; e pochi Soli
forse fien (= “saranno”) volti, e le città latine
abiterà la cauta volpe, e l’atro
bosco mormorerà fra le alte mura;
se la funesta delle patrie cose
obblivion delle perverse menti
non isgombrano i fati, e la matura
clade (= “catastrofe”) non torce dalle abbiette genti
il ciel fatto cortese
del rimembrar delle passate imprese. (vv. 40-52)

