Aristotele: ’l maestro di color che sanno
Aristotele rappresentò per Dante, come per molti intellettuali tra il XIII e il XIV secolo, la fonte scientifica e filosofica più rilevante: egli è il filosofo per antonomasia, il cui magistero è apertamente riconosciuto dall’Alighieri, che spesso lo chiama “mio maestro” (Conv., I 9 9), “maestro dei filosofi” (Conv., IV 8 15), “maestro e duca de la ragione umana” (Conv., IV 6 8), “preceptor morum” (Mon., III 1 3), ecc. L’eccellenza filosofica di Aristotele, “’l maestro di color che sanno” (Inf., IV 131), è poi figurativamente tradotta nella rappresentazione della “filosofica famiglia” del Limbo, in cui il filosofo greco, riverito dai suoi colleghi, occupa una posizione eminente. Un tale riconoscimento discende dalla consapevolezza di un forte debito contratto: ad Aristotele rinvia, infatti, nelle opere di Dante, un vasto corpus di opinioni scientifico-filosofiche, che spazia da singoli lemmi e dall’uso di similitudini fondate su concetti-chiave della fisica, della gnoseologia, della metafisica, della logica, dell’etica e della psicologia dello Stagirita, fino ai grandi discorsi dottrinali del Convivio, della Monarchia, e di alcuni canti della Commedia, i quali sono almeno in parte mutuati dall’etica (Inf., XI), dall’embriologia (Purg., XXV) e dalla cosmologia aristoteliche (Par., II).
Dante lesse tuttavia Aristotele in traduzione latina e filtrato dalla ricca tradizione del commento medievale, che sollecitava amplificazioni e innovazioni rispetto al testo originale. Attraverso i commenti di Averroé, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, Dante acquisì infatti una conoscenza, per così dire, polifonica dell’aristotelismo, in cui confluivano elementi di tradizioni diverse, neoplatoniche, bibliche, mistiche, che talvolta denunciavano i limiti di un’impostazione meramente razionalistica, senza che tuttavia ciò implichi necessariamente una subordinazione e una critica radicale dell’aristotelismo, come invece intelligentemente, ma non del tutto persuasivamente, è stato di recente proposto[1].
[1] Z. Barański, Dante e i segni. Saggi per una storia intellettuale di Dante Alighieri, Napoli, Liguori, 2000.

