Il risorgimento
Il Canto, in venti strofe di doppie quartine di settenari (a ricalcare il metro della canzonetta metastasiana e arcadica), venne composto a Pisa fra il 7 e il 13 aprile 1828 e pubblicato la prima volta nell’edizione di Firenze 1831.
Il “risorgimento” è quello del sentimento, e della poesia, che Leopardi sente tornare in sé dopo lungo tempo, e che produrrà di lì a poco gli altri Canti “pisano-recanatesi”, da A Silvia al Sabato del villaggio.
Il Canto ha una fortissima caratura autobiografica, e ad esemplificarne i presupposti valgono in particolare le lettere scritte in quell’anno da Pisa alla sorella Paolina, come quelle del 25 febbraio (“Vi assicuro che in materia d’immaginazioni, mi pare di esser tornato al mio buon tempo antico”) e del 2 maggio (“dopo due anni, ho fatto dei versi quest’Aprile; ma versi veramente all’antica, e con quel mio cuore d’una volta”).
Pregio del Canto appare soprattutto il contrasto che Leopardi esprime fra la propria consapevolezza razionale e filosofica del “male”, da una parte:
Dalle mie vaghe immagini
so ben ch’ella discorda:
so che natura è sorda,
che miserar non sa.
Che non del ben sollecita
fu, ma dell’esser solo:
purché ci serbi al duolo,
or d’altro a lei non cal.
So che pietà fra gli uomini
il misero non trova;
che lui, fuggendo, a prova
schernisce ogni mortal.
Che ignora il tristo secolo
gl’ingegni e le virtudi;
che manca a degni studi
l’ignuda gloria ancor. (vv. 117-32);
e, dall’altra parte, l’inspiegabile ma pure fortissima gioia ciò non ostante provocata in lui dai risorti “moti” del suo cuore:
Pur sento in me rivivere
gl’inganni aperti e noti;
e de’ suoi proprii moti
si maraviglia il sen.
Da te, mio cor, quest’ultimo
spirto, e l’ardor natio,
ogni conforto mio
solo da te mi vien. (vv. 145-52)

