titolo Giacomo LeopardiGiacomo Leopardi
Home pagepercorso biograficopercorso tematicoCreditienglish version
punto
bordo
Percorso testuale   Home Page > Percorso testuale > Poesie > Al conte Carlo Pepoli

Al conte Carlo Pepoli

fotografia Epistola in endecasillabi sciolti, composta a Bologna nel marzo 1826, fu recitata da Leopardi nella bolognese Accademia dei Felsinei, di cui Pepoli era vicepresidente. Venne pubblicata la prima volta nell’edizione di Bologna 1826 (col titolo Epistola al conte Carlo Pepoli; col titolo definitivo, a partire dall’edizione di Firenze 1831).

All’inizio del componimento, che si snoda nei moduli propri dell’epistola oraziana e pariniana, Leopardi riprende alcune riflessioni dello Zibaldone, del Discorso sugli Italiani e dell’Ottonieri riguardo alla necessità di occupare il tempo da parte di chi non ha bisogno di provvedere con fatica ai propri bisogni primari:

Ma noi, che il viver nostro all’altrui mano

provveder commettiamo (= “affidiamo”), una più grave

necessità, cui provveder non puote

altri che noi, già senza tedio e pena

non adempiam: necessitate, io dico,

di consumar la vita: improba, invitta

necessità ... (vv. 44-50)

Nei versi 63-99, sono elencati diversi modi di impiegare la vita per sfuggire la noia: chi passa il tempo curando il proprio aspetto e partecipando alla vita sociale (vv. 63-77), chi viaggia per “tutto l’orbe” (vv. 78-87), chi intraprende la vita del militare (vv. 88-93) e chi quella del commerciante (vv. 95-9). Ma tutti costoro si adoprano invano: non sono queste le attività che possano scacciare “tedio e pena”.

Nell’ultima parte del Canto Leopardi esamina la scelta compiuta da Pepoli, e la propria: se Pepoli ha optato per lo “studio de’ carmi”, per la poesia, ciò per Leopardi non è più possibile, avendo egli perso le illusioni della gioventù: a lui non resterà che lo studio dell’“acerbo vero”, la filosofia (anche se i risultati della propria riflessione lo renderanno inviso agli uomini):

In questo specolar gli ozi traendo

verrò: che conosciuto, ancor che tristo,

ha suoi diletti il vero. E se del vero

ragionando talor, fieno (= “saranno”) alle genti

o mal grati i miei detti o non intesi,

non mi dorrò, che già del tutto il vago

desio di gloria antico in me fia (= “sarà”) spento: (vv. 150-6).

on
off
            indietrostampatesto integraleInternet Culturale
bordo
Percorso biografico - Percorso testuale - Percorso tematico
Home "Viaggi nel testo" - Dante Alighieri - Francesco Petrarca - Giovanni Boccaccio - Baldassarre Castiglione
Ludovico Ariosto - Torquato Tasso - Ugo Foscolo - Alessandro Manzoni - Giacomo Leopardi

Valid HTML 4.01 Strict        Valid HTML 4.01 Strict