
Petrarca racconta di aver accondisceso agli inviti di Iacopo II da Carrara, signore di
Padova dal 1345, solo dopo molte insistenze: nel 1349 venne finalmente nella città veneta, dove gli era stato concesso un
canonicato, e meditò seriamente di stabilirvisi. L'assassinio di Iacopo alla fine del 1350 troncò questi progetti e rappresentò per Petrarca, appena uscito dagli sconvolgimenti provocati dalla
peste e in cerca di un nuovo punto di riferimento, un evento traumatico: lo si percepisce dalle lettere di compianto scritte a
Giovanni Boccaccio e a
Giovanni Aghinolfi (
Familiares XI 2 e 3, la seconda contenente un epitaffio per Iacopo) e dalla
Posteritati, che si interrompe in modo quasi emblematico su questo episodio.
Petrarca riprese i rapporti con i da Carrara anni dopo: il nuovo mecenate era Francesco I il Vecchio, figlio e successore di Iacopo, che lo ospitò prima per un breve periodo nel 1362 e poi in modo stabile dal 1368 (alla fine dei suoi soggiorni rispettivamente a
Milano e a
Venezia) e che gli regalò il terreno di
Arquà sul quale costruì la casa dei suoi ultimi anni. A lui Petrarca dedicò l'ultima redazione del
De viris illustribus e indirizzò un trattatello sul governo cittadino (
Seniles XIV 1); su richiesta di lui partecipò all'ultima missione diplomatica della sua vita, a Venezia nel 1373, per trattare la pace con Padova; si ricordò di lui anche nel
testamento, lasciandogli un quadro di Giotto. I da Carrara ereditarono inoltre buona parte della
biblioteca petrarchesca, che dopo la conquista di Padova nel 1389 venne acquisita dai
Visconti.