Petrarca mise piede per la prima volta a Milano nel 1353, al suo ultimo ritorno dalla Provenza, e vi dimorò stabilmente fino al 1361, quando dovette abbandonare la città minacciata dalla peste. Un soggiorno lungo otto anni non ha precedenti nella sua biografia (a parte il giovanile periodo
avignonese) e merita una riflessione: nonostante le numerose rampogne che gli furono inizialmente indirizzate (in primo luogo da
Giovanni Boccaccio e da altri amici fiorentini, ma anche dal cancelliere dei
Gonzaga Giovanni Aghinolfi, tutti ostili ai
Visconti per motivi politici) e che lo costrinsero ad affrontare la stesura di scritti autodifensivi (la
Invectiva contra quendam magni status hominem sed nullius scientie aut virtutis, forse la
Posteritati), Petrarca ritenne preferibile rimanere a Milano anziché trasferirsi in un'altra città italiana (appunto
Firenze e
Mantova erano apparse le candidate più accreditate ad accoglierlo, donde la delusione dei loro rappresentanti). Sconcertava la sua spregiudicatezza nell'accettare un'offerta proveniente da uno fra i più potenti signori italiani, l'arcivescovo Giovanni Visconti, le cui mire espansionistiche ai danni dei vicini erano ben note e del quale lo stesso Petrarca aveva dato un giudizio negativo in una conversazione con Boccaccio svoltasi a
Padova nel 1351. Agli occhi di Petrarca, tuttavia, proprio ciò che dispiaceva ai suoi amici rappresentava un pregio: dopo tanta instabilità, egli voleva finalmente approdare in un porto sicuro, uno stato forte e potente che gli garantisse la pratica dell'
otium intellettuale in cambio del lustro che la sola presenza di una celebrità come Petrarca gli avrebbe portato. E in effetti, sebbene egli dovesse adattarsi a svolgere per i Visconti compiti di cancelleria, a pronunciare orazioni e a partecipare ad alcune ambasciate, quelli milanesi furono anni operosi, che videro fra l'altro la composizione di un'opera impegnativa come il
De remediis utriusque fortune, l'ultima mano al
Sine nomine liber, la prima sistemazione di
Bucolicum carmen e
Canzoniere e l'elaborazione dei
Trionfi. In un'ottica di storia culturale il soggiorno milanese di Petrarca rappresenta l'incubazione della figura del letterato cortigiano, destinata a diventare dominante nei secoli successivi.
A Milano Petrarca abitò successivamente in due case, entrambe situate in posizione periferica e sommariamente descritte in due lettere a
Francesco Nelli (
Familiares XVI 11 e XXI 14): la prima, fino al 1359, antistante la basilica di S. Ambrogio (dove chiese nel
testamento di essere seppellito se fosse morto nella città lombarda); la seconda, fino al 1361, situata in prossimità del convento benedettino di S. Simpliciano. In tempi diversi accolse con sé prima il figlio
Giovanni (che proprio a Milano morì nel 1361) e poi, forse, la figlia Francesca; nel 1359 ospitò Boccaccio venuto a visitarlo. In alcune occasioni trascorse brevi periodi presso la certosa di Garegnano e nel castello di S. Colombano al Lambro, due sobborghi della città: anche a Milano, dunque, Petrarca non rinunciò a ricercare per quanto possibile la tranquillità campestre. Tuttavia, a parte alcuni diversivi a Padova e a
Venezia, gli anni dal 1353 al 1361, anche nei periodi trascorsi fuori Milano, si svolsero interamente sotto l'egida dei Visconti. Dopo il 1361 Petrarca rivide Milano saltuariamente, giungendovi da
Pavia, dove i Visconti continuarono a ospitarlo a più riprese: l'ultima volta fu nel 1368.
La Biblioteca Ambrosiana conserva alcuni tesori della
biblioteca petrarchesca: in primo luogo il codice di
Virgilio con il frontespizio miniato da
Simone Martini e con le annotazioni sulla morte di
Laura e di altri; da ricordare anche l'
Iliade greca dono di
Nicola Sygeros.