Il sigillo della verità
Quale sia il fine ultimo o il traguardo più alto, per l’uomo di corte, viene dichiarato da Castiglione nel quarto libro del Cortegiano: “Il fine, adunque, del perfetto cortigiano, del quale insino a qui non si è parlato, estimo io che sia il guadagnarsi, per mezzo delle condizioni attribuitegli da questi signori, talmente la benevolenza e l’animo di quel principe a cui serve, che possa dirgli, e sempre gli dica, la verità di ogni cosa che a esso convenga sapere, senza pericolo o timore di dispiacergli” (B. Castiglione, Il Cortigiano, a cura di A. Quondam, Milano 2002, I, 320). Al gentiluomo è riconosciuta una precisa responsabilità politica e civile: tocca a lui di stabilire con il principe un rapporto dialogico improntato alla franchezza, anche a rischio del contrasto e del dissenso; tocca a lui, quindi, di consigliare il principe e di indirizzarne la condotta verso le forme dell’agire giusto e magnanimo. Tutte le qualità elencate nel primo e secondo libro dell’opera, inerenti la vita di relazione, trovano qui la propria ragione d’essere.
Il cortigiano, in particolare, non deve cedere alla tentazione dell’adulazione: dire al principe non la verità ma ciò che questi desidererebbe ascoltare, blandendolo ed esaltandolo, con lo scopo di avere in cambio benefici. La prassi adulatoria, diffusa e invalsa, costituisce, per Castiglione, la peggiore degenerazione della professione del gentiluomo. Questi, invece, non deve temere il confronto con il principe, avendo di mira, sempre, la trasmissione di informazioni chiare e precise, interpretando anche le situazioni più complesse senza edulcorare i contorni della verità.
A conclusione di questa parte dell’opera, la trasformazione del gentiluomo armato in diplomatico, avviata fin dal primo libro, è compiuta, e perciò si propone l’identificazione di esso con il filosofo che, nella tradizione classica, sta accanto al principe. Platone e Aristotele, secondo quanto tramandato dagli antichi (e in particolare da Plutarco), sono stati i suggeritori di Dionigi di Siracusa e Alessandro: l’uomo di corte è chiamato a svolgere l’identico compito nei confronti del principe.

