ROMA

Il culto della romanità è un elemento fondamentale dell'ideologia di Petrarca: alimentò tutta la sua prima attività letteraria, dall'edizione di Tito Livio alla messa in cantiere di Africa e De viris illustribus, e rimase fino alla fine il punto di forza per affermare, nella Invectiva contra eum qui maledixit Italie, il primato dell'Italia sugli altri paesi (in particolare la Francia). Conviene però scindere le due immagini di Roma che convivono nella mente di Petrarca: quella classica, patria delle virtù civili e del valore militare, e quella cristiana, sede che Cristo aveva assegnato alla sua Chiesa (contrapposta dunque ad Avignone).
Entrambi questi aspetti si trovano rappresentati nelle quattro successive visite a Roma che Petrarca compì nel giro di un quindicennio, dopo che nel 1333 un progetto in tal senso non era andato a buon fine. Il primo soggiorno romano, nel 1337, si svolse interamente sotto l'egida dei Colonna, dalla scorta armata fornita da Orso dell'Anguillara alle conversazioni avute con Stefano Colonna il Vecchio e rievocate in una lettera del 1348 (Familiares VIII 1). Il secondo, nel 1341, fu dominato dalle memorie classiche: dopo la fastosa cerimonia dell'incoronazione poetica, infatti, Petrarca si intrattenne con un altro Colonna, il frate domenicano Giovanni (omonimo del cardinale), a visitare le vestigia dei monumenti antichi, poi puntigliosamente elencati in una lettera (Familiares VI 2) incentrata appunto "sui luoghi celebri della città di Roma"(1) ; probabilmente in diretta conseguenza di queste escursioni Petrarca si rivolse poi al patrizio Paolo Annibaldeschi per esortarlo a impedire l'ulteriore rovina delle preziose reliquie (Epystole II 12). La terza volta a Roma, nel 1343, di passaggio verso Napoli, fu solo una sosta di pochi giorni trascorsa ancora in compagnia di Stefano Colonna il Vecchio. L'ultima fu dovuto al giubileo del 1350 e diede perfettamente a Petrarca il senso del tempo perduto: ancora fresco della cocente delusione patita a causa di Cola di Rienzo, senza più gli appoggi dei Colonna (tutti morti nel frattempo), per lui il viaggio significò soprattutto una ripresa di contatti con Firenze, che del resto in seguito si rivelò effimera. Ma restava forte il mito della Roma vagheggiata nella sua giovinezza, che nel 1352 lo indusse a sondare con l'amico Lelio la possibilità di andare a vivere nella città eterna (Familiares XV 8) e che ancora nel 1370 lo spinse al tentativo (abortito a Ferrara a causa di una sincope) di raggiungere Urbano V, che nel frattempo aveva riportato a Roma la sede papale.
Oggi la Biblioteca Apostolica Vaticana è uno dei più importanti depositi di manoscritti petrarcheschi: vi sono infatti giunti almeno in parte quelli lasciati a Francescuolo da Brossano, arrivati nel Cinquecento in mano a Pietro Bembo e poi, tramite il nipote di lui e il cardinale Fulvio Orsini, alla biblioteca papale. Spiccano per il loro pregio il codice degli abbozzi, l'autografo del Canzoniere, quelli del Bucolicum carmen e del De sui ipsius et multorum ignorantia; da ricordare anche l'esemplare della Commedia dantesca dono di Giovanni Boccaccio e il testimone della redazione Chigi del Canzoniere di pugno dello stesso Boccaccio. Inoltre la Biblioteca Nazionale Centrale custodisce un codice delle Tusculanae disputationes ciceroniane annotato da Petrarca.

(1)"de locis insignibus urbis Rome".

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