Gli ultimi testi
A conclusione del libro dei Canti del 1835 Leopardi inserì alcuni testi “extravaganti”. Al XXXV posto, Imitazione, una strofa di tredici endecasillabi e settenari, forse del 1828, che rielabora il testo La feuille di Antoine-Vincent Arnault. Al XXXXVI posto Scherzo, una strofa di diciotto endecasillabi e settenari composta a Pisa il 15 febbraio 1828, in cui sia pur giocosamente viene sottolineata la mancanza della “lima”, cioè dello stile, nei componimenti contemporanei.
Seguono cinque Frammenti: il XXXVII, “Odi, Melisso: io vo’ contarti un sogno”, ventotto endecasillabi sciolti, composto a Recanati forse nel 1819, venne pubblicato nel “Nuovo Ricoglitore” del gennaio 1826 e nella raccolta di Bologna 1826 (col titolo Lo spavento notturno) ma escluso dall’edizione di Firenze 1831.
Il XXXVIII, “Io qui vagando al limitare intorno”, quindici endecasillabi in terza rima, costituisce i vv. 40-54 dell’Elegia II, pubblicata nell’edizione di Bologna 1826 e composta forse nel 1818 (al tempo dell’amore per Geltrude Cassi: l’Elegia I è il Canto poi intitolato Il primo amore).
Il XXXIX, “Spento il diurno raggio in occidente”, settantasei endecasillabi in terza rima, rielabora largamente la prima parte della Cantica Appressamento della morte, composta a Recanati nel 1816.
Il XL, Dal greco di Simonide (“Ogni mondano evento”), strofa di endecasillabi e settenari composta a Recanati fra 1823 e 1824, traduce un frammento del poeta greco del VII sec. a.C. Semonide di Samo (Amorgino): ma Leopardi credeva si trattasse di Simonide di Ceo (ricordato in All’Italia); i vv. 10-8 furono pubblicati anche nel Parini, ovvero della gloria e nel “Corriere delle Dame” del 10 novembre 1827, col titolo La speranza.
Infine il LXI, Dello stesso (“Umana cosa picciol tempo dura”), strofa di endecasillabi e settenari, composto contemporaneamente al precedente, traduce un frammento di cui attualmente non si sa attribuire con certezza la paternità all’uno o all’altro Simonide.

